Ordinazioni sacerdotali

Delpini: «Una Chiesa imperfetta, ma viva»

Sono undici i candidati diocesani al sacerdozio che mons. Mario Delpini ha ordinato presbiteri, lo scorso 7 giugno, nello stesso giorno in cui ha festeggiato i suoi cinquant’anni di Messa.
Placeholder
Icona Fiaccola

«Questa classe di preti – ha detto l’Arcivescovo – è il segno che la Chiesa c’è! La Chiesa vive! La Chiesa è lieta e c’è una pienezza della gioia che abita nei discepoli di Gesù».

Non solo un punto di arrivo, ma soprattutto una nuova partenza. Dopo anni e anni di maturazione del desiderio vocazionale di dedicarsi completamente a Dio e alla Chiesa, coltivato e accompagnato dapprima nelle comunità di origine e, in seguito, verificato e formato nel percorso seminaristico, si potrebbe avere la tentazione di pensare che il sacramento dell’ordine, prima al diaconato e poi al presbiterato, sia esclusivamente il coronamento di un percorso ormai passato, più che il rilancio definitivo e indelebile di un compito affidato per sempre. Un compito che, inevitabilmente, conterrà altre chiamate, vocazioni nella grande vocazione a cui rispondere, per la grazia ricevuta, con tutto se stessi.
Con questi sentimenti e questi pensieri, con questa trepidazione, i nostri undici candidati presbiteri, che già nell’ottobre scorso, in occasione dell’ordinazione al sacro ordine del diaconato, avevano promesso obbedienza al Vescovo e totale dedizione nel celibato, hanno fatto ingresso nel Duomo di Milano nella mattina di sabato 7 giugno. Insieme a loro anche un candidato presbitero dell’ordine dei Figli di Maria Immacolata.
La giornata, per i nostri candidati diocesani, era iniziata all’alba con la sveglia presso il Santuario di Rho, dove nella settimana precedente avevano seguito, nel più totale silenzio e ritiro, gli Esercizi spirituali predicati da don Sergio Stevan, intorno al motto da loro scelto Consacrali nella verità.

LA VICINANZA DEI FAMILIARI
Arrivati in Arcivescovado, si sono preparati con la preghiera all’incontro con l’Arcivescovo, che in un altro 7 giugno, quello di cinquant’anni fa, era stato ordinato prete nello stesso Duomo: felice coincidenza!
Ed ecco, improvvisamente, aprirsi davanti al loro sguardo la vista della Cattedrale milanese gremita di persone, una distesa di volti più o meno noti, a partire dai genitori e dai familiari che occupano le prime file, tutti presenti per innalzare il loro grazie al Signore per questi giovani uomini che si apprestano a servire la Diocesi come preti, unitamente alle suppliche perché questo loro ministero sia ricolmato di tutti gli aiuti e le grazie celesti. Anche per questo, il momento più commovente è stato quello in cui, prostrati con la faccia a terra, i candidati sono stati accompagnati verso il gesto definitivo dell’imposizione delle mani dell’Arcivescovo, proprio da quelle migliaia di voci che hanno espresso a Dio la loro preghiera tramite la supplica in canto dell’intercessione dei santi.

UOMINI CHE SI FANNO AVANTI
Poco prima l’Arcivescovo, nel corso della sua omelia, aveva rivolto a tutti parole profondamente descrittive e profetiche sulla vita degli ordinandi. In un clima generale pervaso dalla retorica del declino, dall’imminenza dei fallimenti nella convivenza umana, dallo scetticismo e dalla depressione, questi fratelli «si fanno avanti e dicono: “Fatevi avanti anche voi!” […] Così ha fatto Paolo. […] Così Gesù, pregando in quell’ultima sera. […] E prega che i suoi discepoli si facciano avanti in mezzo all’odio del mondo per compiere lo stesso mandato che Gesù ha ricevuto dal Padre. […] Sono forse uomini superiori, dotati di straordinario coraggio e di doti e competenze sovrabbondanti? No, piuttosto dichiarano la loro fragilità e la sproporzione che avvertono rispetto alla missione da compiere. Hanno infatti scelto che fosse letta in questa celebrazione la parola di Paolo: “Noi però portiamo questo tesoro in vasi di creta”. […] Sono forse un esercito numeroso, un gruppo che impressiona per la quantità e la qualità dei suoi uomini? No, piuttosto sono un numero modesto. […] Forse si aspettano di essere dappertutto accolti, apprezzati, circondati d’affetto e sostenuti da molti nel loro ministero? No, piuttosto raccolgono la parola inquietante di Gesù che prefigura l’odio del mondo, le insidie del maligno, quel senso di estraneità che fa percepire distanze insuperabili e invincibili indifferenze. Dunque che dobbiamo pensare di questo farsi avanti dei candidati? Dobbiamo pensare che sono un segno che la Chiesa c’è! La Chiesa vive! La Chiesa è segno di una grazia invincibile anche tra le ostilità e le indifferenze! […] Per questo, dunque, i candidati si fanno avanti: vediamo una Chiesa imperfetta, ma viva; amiamo la Chiesa ferita, ma fecondata dal sangue di martiri innumerevoli; vorremmo far parte di un presbiterio, di un clero segnato da fragilità e inadeguatezza, ma dedicato, senza presunzione, miracoloso, senza ostentazione. […] E il Padre esaudisce anche la preghiera con cui Gesù invoca che siano una sola cosa come il Padre e il Figlio. Ecco: si fanno avanti, ma non come eroi solitari. Piuttosto desiderano, pregano che lo Spirito li renda fratelli e uniti nel presbiterio diocesano, dentro la Chiesa perché sanno che c’è una sola via convincente per la missione: la comunione che si fa servizio. […] Si fanno avanti e dicono: “Fatevi avanti anche voi”».

LA FESTA
Così, la gioia che fino alla fine della celebrazione era presente nell’unione di preghiera e nella commozione per quanto il Signore ha operato in questi dodici preti novelli, si è potuta esprimere anche con gli abbracci, i lanci in aria, gli striscioni e i canti all’esterno del Duomo, dove tutto l’affetto e il sostegno di questo popolo di Dio si è manifestato con calore ed entusiasmo. Proprio papa Leone XIV, ordinando qualche settimana fa i novelli preti della Diocesi di Roma, aveva voluto particolarmente sottolineare questo legame vitale dei sacerdoti con il popolo di Dio: «La profondità, l’ampiezza e persino la durata della gioia divina che ora condividiamo è direttamente proporzionale ai legami che esistono e cresceranno tra voi ordinandi e il popolo da cui provenite, di cui rimanete parte e a cui siete inviati. […] Non è rumorosa la gioia di Dio, ma realmente cambia la storia e ci avvicina gli uni agli altri. Ne è icona il mistero della Visitazione. […] Dall’incontro fra la Vergine Maria e la cugina Elisabetta vediamo scaturire il Magnificat, il canto di un popolo visitato dalla grazia».

Tratto dal numero 6-7 (Giugno-Luglio 2025) di “Fiaccola”